Ovviamente questa è solo la mia opinione, quindi se il libro in questione vi è piaciuto io sono contenta per voi. Un po' meno per me, ma pazienza, fa parte del gioco di essere lettore.
Addicted di Paolo Roversi
| Sem, 2019 | pag. 189 |
Rebecca Stark è una brillante psichiatra londinese che ha messo a punto un innovativo sistema per guarire la gente dalle proprie ossessioni. Il metodo Stark è così efficace che un magnate russo, Grigory Ivanov, decide di affidarle la conduzione della Sunrise, la prima di una serie di cliniche all’avanguardia, disseminate in tutto il pianeta, che aiuteranno le persone ad affrancarsi dalle loro peggiori addiction.
Viene così lanciata una campagna pubblicitaria a livello mondiale. Il primo centro apre in Italia, in Puglia, all’interno di un’antica masseria ristrutturata, circondata da campi e ulivi. Un posto perfetto per accogliere i pazienti che, come parte integrante della cura, dovranno lavorare, cucinare e dedicarsi alle pulizie. Vivranno, insomma, come una piccola comunità isolata.
Fra le centinaia di richieste che arrivano vengono selezionati sette candidati da diversi Paesi: Lena Weber, ossessionata dalla perfezione fisica; Jian Chow, web designer e hacker voyeur; Rosa Bernasconi, una ragazza tecno dipendente; Claudio Carrara, giocatore d’azzardo compulsivo; Julie Arnaud, manager ninfomane; Tim Parker, trader cocainomane; e, infine, Jessica De Groot, autolesionista.
All’inizio della terapia tutto sembra girare nel migliore dei modi ma, ben presto, alcuni pazienti scompaiono misteriosamente. Complice una pioggia torrenziale che tiene segregati gli ospiti, impedendogli la fuga e ogni contatto con l’esterno, comincia da quel momento un macabro gioco al massacro.
Voto:
Brutto. Non mi viene in mente un altro aggettivo per definire questo libro e nonostante sembri la solita guastafeste (a quanto pare Addicted sta piacendo a molti lettori!) giuro che mi sono impegnata per trovarci qualcosa di buono ma, o mi serve un cane per ciechi, o forse c'è davvero poco da salvare.
Non butto via l'idea, la premessa in sé non è male, un gruppo di persone affette da varie tipologie di ossessioni - che possono andare dal controllo maniacale della propria forma fisica, alla ludopatia - vengono rinchiuse in una clinica in cui, grazie a un nuovo metodo sperimentale, guariranno nel giro di un mese.
Interessante? Sì, peccato che per le prime cento pagine non succeda assolutamente nulla e considerando che il libro ne conta centottanta non è proprio il massimo. Non si crea nemmeno quella sorta di sottinteso malessere, le atmosfere non sono suggestive (ma la clinica del Ladro di Anime l'avete presente? ecco quella è una location coi controca**i!) e si procede un po' per inerzia e un po' perché lo stile di Roversi è semplice e scorrevole. Ma attenzione, uno stile semplice, ci tengo a sottolinearlo, può essere anche incisivo, potente, evocativo, ma in questo caso siamo a livelli basici. Quasi banali. I personaggi sono privi di un certo spessore psicologico, le situazioni sono narrate senza enfasi e anche i capitoli, brevi, non hanno le tipiche frasi ad effetto che ti invogliano a continuare. Questa povertà stilistica ti porta a vivere la storia con estremo distacco, senza paure, ansie, brividi.
E io da un thriller cerco questo. Pressione che sale, battiti cardiaci che accelerano, pupille che si dilatano.
Non una psicologa che dice ai suoi pazienti, con tono solenne, "adesso tutti a nanna." Nemmeno fossero dei bambini o dei cerebrolesi. Sono diverse le scelte che proprio non sono riuscita a digerire, come il modo di apostrofare i pazienti non chiamandoli sempre per nome ma in base alla loro nazionalità, il tedesco, l'olandesina, la francese, o il blando tentativo di omaggiare il capolavoro della Christie, Dieci Piccoli Indiani attraverso la progressiva scomparsa dei pazienti. Insomma, per me è tutto un grande "no".
Alla fine mi sono domandata cosa avessi appena finito di leggere.
Un romanzo psicologico? No, non c'è nessun tipo di approfondimento, i personaggi sono strettamente funzionali alla trama, ma non coinvolgono e non emozionano.
Un thriller? Manca la suspense, quindi no.
Un giallo? Mhhh... nemmeno, non ci sono indizi e manca la ricostruzione logica finale. C'è solo uno spiegone parecchio tirato per i capelli.
Poi ragazzi io sono sempre pronta a cospargermi il capo di cenere e a dire che quella che non ci capisce un'acca di thriller sono io, ma insomma, ne ho letti così tanti che sento di avere anche i mezzi per giudicare un libro in modo abbastanza oggettivo, e oggettivamente, agli amanti del genere, Addicted molto probabilmente non piacerà. A tutti gli altri forse sì.
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Non mi ispirava per niente e tu non hai fatto altro che confermare i miei timori!
RispondiEliminaAvrei voluto smentirti, invece...
RispondiEliminaPreso in biblioteca e sono d'accordo, un thriller davvero molto debole.
RispondiEliminaClaudio
Terribile. Un libro assurdo. Incommentabile
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