
Credo sappiate tutti cosa stava per accadere ai romanzi di Roald Dahl. Libri per bambini che portano con sé una forte impronta pedagogica: La fabbrica di cioccolato, per esempio, ci mette in guardia dall’avidità, dalla superficialità e da tutte quelle fragilità umane che spesso conducono al fallimento. Alla fine, chi è buono ottiene il suo lieto fine. Una fiaba moderna, con una morale ben riconoscibile.
Eppure, quelle stesse storie oggi finiscono al centro di un dibattito acceso. Alcuni termini presenti nei romanzi - come grasso, nano, brutto - vengono considerati inappropriati e si vorrebbero sostituire con versioni linguisticamente più “accettabili”.
Non solo: in alcuni casi si interviene addirittura sui ruoli dei personaggi. Se nell’opera originale una donna è una cassiera o una segretaria, nelle nuove edizioni la ritroviamo scienziata o imprenditrice.
Ma perché? È forse umiliante svolgere un lavoro comune? Non sono forse mestieri reali, dignitosi, parte del mondo quotidiano dei bambini?
Il problema del “politicamente corretto” usato male
Ammetto che tutto questo mi mette un’ansia terribile.
Il politicamente corretto, in sé, potrebbe essere uno strumento prezioso: serve a educare alla sensibilità e al rispetto. Ma quando viene applicato in modo rigido e meccanico, rischia di trasformarsi nell’opposto di ciò che vuole essere. Rischia di diventare una forma di censura.
Un bambino è perfettamente in grado di capire il contesto. E un libro per ragazzi non è mai una lettura completamente solitaria: c’è sempre un genitore, un insegnante, un adulto pronto a spiegare, a rispondere ai “perché”.
Modificare un testo, eliminare parole scomode o comportamenti scorretti, può snaturare la storia stessa e annullare il messaggio che quella storia voleva trasmettere.
Se elimino un insulto detto per ferire, come spiego la dinamica del ferire? Come spiego che non si deve fare? E perché mai dovrei negare al bambino la possibilità di fare domande proprio su ciò che è sbaglia
to?
Fortunatamente, sembra che Penguin abbia fatto marcia indietro: pubblicherà sia le versioni “ripulite” sia quelle originali, lasciando facoltà di scelta ai lettori.
Dalla letteratura alla Disney: la censura secondo Don Rosa
Se di Dahl in passato si è parlato moltissimo, molto meno si è discusso della censura che ha colpito Don Rosa e la sua straordinaria saga di Paperon de’ Paperoni. Un capolavoro del fumetto moderno, che rischia però di sparire dagli scaffali.
Due storie, Il sogno di una vita (2002) e Il cuore dell’Impero (1994), non verranno più ristampate.
Il problema è che senza queste due storie la saga perde coerenza interna: è come leggere un romanzo a cui mancano due capitoli fondamentali.
Perché questa decisione?
In una di queste storie, Paperone vuole appropriarsi di un terreno africano ricco di risorse. Non riuscendoci legalmente, assolda dei mercenari per appiccare incendi e far fuggire gli abitanti del villaggio.
Si tratta di un’azione riprovevole? Certamente.
Viene presentata come un gesto eroico? Assolutamente no.
Infatti, lo stregone del villaggio lo maledice, e Paperone viene perseguitato per anni dal senso di colpa e dal Gongoro, uno spirito gigante dalle sembianze di un nativo
Questa è l’unica vera azione malvagia di Paperone nell’intera saga di Rosa, ma è fondamentale per la crescita del personaggio: mostra che anche chi è “buono” può sbagliare, e che gli errori generano conseguenze, morali prima che narrative.
Eppure oggi sembra quasi che spiegare perché una cosa è sbagliata sia diventato troppo difficile: meglio rimuoverla.
Altri casi di censura nei romanzi per ragazzi
Questa non è un’eccezione. Negli ultimi anni sempre più opere per giovani lettori sono state riscritte, ripulite o tolte dal mercato.
Dr. Seuss
I titoli:
- And to Think That I Saw It on Mulberry Street (1937)
- If I Ran the Zoo (1950)
- McElligot’s Pool (1947)
- On Beyond Zebra! (1955)
- Scrambled Eggs Super! (1953)
- The Cat’s Quizzer (1976)
In molte edizioni moderne sono stati modificati termini oggi ritenuti offensivi.
Una modifica comprensibile, ma che riaccende lo stesso interrogativo: fino a che punto si può cambiare un testo senza snaturarlo?
Piccoli Brividi - R. L. Stine

Huckleberry Finn - Mark Twain
Sono state pubblicate edizioni che sostituiscono la parola “nigger” con “slave”. Una scelta pensata per proteggere gli studenti, ma che rimuove il peso storico del linguaggio rallentando la funzione critica dell’opera.
Nancy Drew, Hardy Boys
e altri classici per bambini

Nel corso dei decenni molte storie sono state riscritte completamente, eliminando passaggi considerati troppo violenti o razzisti.
Il rischio più grande: riscrivere il passato per non affrontarlo
Questi casi dimostrano un trend preciso: la tendenza a rendere i libri inoffensivi, anche quando nascono proprio per mostrare ciò che è sbagliato.
La tendenza a modificare un testo per renderlo più “accettabile” è una scorciatoia educativa.
È un modo per evitare la complessità.
È un modo per evitare il confronto.
Ma far finta che certe cose non siano mai esistite non migliora il mondo: lo impoverisce.
E quando si arriva a modificare parole, riscrivere scene, eliminare intere narrazioni… il rischio è di avvicinarsi a un mondo che assomiglia fin troppo a 1984, dove ciò che non piace semplicemente non esiste più.
Questi casi dimostrano un trend preciso: la tendenza a rendere i libri inoffensivi, anche quando nascono proprio per mostrare ciò che è sbagliato.
La Censura come strategia editoriale
Vale la pena aggiungere una riflessione finale: in molti casi, queste modifiche non nascono solo da sensibilità culturale o pedagogica, ma rientrano in vere e proprie strategie di vendita. Rendere un classico “sicuro” per il pubblico contemporaneo può aumentare le vendite e facilitare la distribuzione, soprattutto nei mercati internazionali.In particolare, le famiglie che credono fortemente nell’inclusività sono più propense a scegliere questi libri rispetto ad altri, vedendoli come più adatti ai propri figli. È una dinamica commerciale evidente: modificare un testo per renderlo “accettabile” può tradursi in maggiori vendite.
È un fenomeno triste: la scelta di modificare, tagliare o cancellare parole e passaggi rischia di diventare una logica di marketing, più che un gesto educativo. E così, mentre i libri continuano a vendere, il dibattito critico e la memoria delle opere originali rischiano di essere messi in secondo piano.




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