Il Creatore delle Ombre di Kevin Guilfoile
| Sperling & Kupfer, 2005 | pag. 467 |
Voto:
Questo libro è il classico esempio di come un autore possa avere un'idea geniale e poi svilupparla coi piedi.
E giuro che non ho iniziato Il Creatore delle Ombre con dei pregiudizi, anzi, ero più carica di una molla, galvanizzata come non mai, non ho nemmeno dato peso alle quasi cinquecento pagine, perché cavolo, tutti a dirmi "bellissimo!", "colpi di scena wow!", "non ti staccherai dalle pagine!" e invece le uniche volte che non mi sono staccata dalle pagine è perché mi sono addormentata con il libro aperto sulla faccia.
Come dicevo, però, la trama è strepitosa, quindi le prime sessanta pagine si divorano. Dopo vi aspetta l'oblio.
Siamo in un futuro prossimo in cui la clonazione è legale seppur regolata da rigide normative e il dottor Davis Moore è uno dei maggiori luminari in una clinica sulla fertilità. La sua vita cambia drasticamente quando la figlia adolescente viene prima violentata, poi uccisa, e l'assassino si da alla fuga. Davis non si da pace e un pensiero folle inizia a prendere forma giorno dopo giorno. Venuto in possesso (in modo molto discutibile...) del dna del killer decide di clonarlo per poter vedere la sua faccia. La vendetta è un piatto che va servito freddo e Davis non ha più nulla da perdere... gli anni passano, il piccolo Justin cresce, e Davis lo osserva da lontano... in attesa di poter trovare l'uomo che gli ha rovinato l'esistenza.
Sembra una figata, vero?
INVECE NO! NO. NO, E ANCORA NO!
Questo romanzo è esageratamente lungo, noioso, pedante e ripetitivo. Nelle ultime cinquanta pagine succede la qualunque e io avrei voluto dire "Oh mio Dio, poveretto!" (pensando al dottor Davis), invece, per colpa di Guilfoile ho pensato "Oh mio Dio, che coglione!".
Poteva essere un romanzo geniale. Poteva essere uno smacco a tutti quei thriller buonisti che butterei volentieri fuori dalla finestra, invece fuori dalla finestra ci vola lui, perché non è riuscito a parlare di etica, di morale, di ossessione e dolore. Ci prova, ma nun gliela fa proprio.
C'è lo strazio di un padre che non diventa quello del lettore.
C'è un matrimonio che va a pezzi, ma di cui ci interessa zero.
C'è un killer che fa fuori chiunque lavori sulla clonazione, ma chi se ne frega, tanto ammazza personaggi di cui non ci importa una beata fava.
E poi c'è pure una traduzione non eccelsa, molto in stile anni Settanta, perché il caro e compianto Tullio Dobner (storico traduttore di Stephen King) non si è mai svecchiato nel tempo.
Quando tutti i fili si legano finalmente tra loro per me era troppo tardi. Avevo du' palle così. E una buona samaritana, sensibile al mio sconforto, mi ha raccontato il finale in modo che potessi saltare un po' di pagine e arrivare al dunque ancora in pieno possesso delle mie facoltà mentali.
Dico solo peccato. Peccato, perché l'epilogo sarebbe anche bello cattivo, molto nel mio genere, se solo me lo fossi goduta. Invece non ho capito cosa volesse dirci l'autore. Qual era il senso di tutto questo? Dov'è la morale o la non morale? Riassumo il tutto in gigantesco "boh" e corro a mettere in vendita il libro.
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