Lettori buon pomeriggio! Oggi vi parlo di un libro importante che consiglio di leggere con una certa consapevolezza, perché tra queste pagine non troverete solo una storia, ma anche
e soprattutto un messaggio.
Donne Che Parlano di Miriam Toews
| Marcos Y Marcos, 2018 | pag. 253 |
Non so se abbiate mai sentito nominare Jordi Ruiz Cirera, ma è un fotografo che tra il 2011 e il 2012, durante un viaggio in Bolivia, ha fatto numerosi scatti all'interno di una comunità mennonita. Quello che traspare dalle immagini è la totale assenza di sorrisi; gli uomini lavorano nei campi dalla mattina alla sera, le donne si occupano della casa, passatempi, giochi e musica sono vietati.
I mennoniti rinnegano la società consumista, quindi niente auto, elettricità, alcol. Bisogna vivere in totale purezza, senza farsi contaminare dai mali del mondo.
Mi verrebbe da dire che
dove c'è estremismo invece di male ce n'è eccome, ma non sta a me giudicare e non lo fa nemmeno Miriam Toews che, con
Donne Che Parlano, porta alla luce un fatto di cronaca terribile avvenuto proprio all'interno di una di queste
immacolate comunità.
Per quattro anni un gruppo di donne si è svegliato dolorante e sanguinante ignorandone il motivo. Hanno partorito figli senza sapere come potessero essere rimaste incinta, sono state apostrofate come mentalmente disturbate e poi come serve del demonio.
Ma la verità è un'altra e fa molta più paura. Queste donne venivano narcotizzate con dell'anestetico veterinario e violentate dagli uomini della suddetta
immacolata comunità, spesso loro parenti, cugini, fratelli...
L'incubo è durato quattro anni. Dal 2005 al 2009. Le vittime avevano dai tre ai sessantacinque anni. E adesso ad alcune di loro viene data la possibilità di parlare.
Hanno quarantotto ore di tempo per decidere se: non far niente, restare e combattere, andarsene. E
sono queste quarantotto ore che troverete tra le pagine di un libro che non è fiction,
ma vera e propria denuncia.
La narrazione è affidata ad August Epp, un membro della comunità che ha il compito di trascrivere in inglese le dichiarazioni di Greta, Mariche, Mejal, Neitje, Autje, Agata, Ona e Salomé. Si riuniscono in un fienile e sfogano la loro rabbia, frustrazione, paura.
Sarebbe facile fuggire, ma dove? E combattere? Non significherebbe andare contro il volere di Dio? Se restassimo... che futuro offriremo alle nostre figlie?
Miriam Toews, nata in una comunità mennonita che ha abbandonato all'età di diciotto anni ci parla di fondamentalismo religioso, diritti negati e di
donne che si credevano libere perché non sapevano di essere prigioniere. Il romanzo non si concentra tanto sulla violenza perpetrata nel tempo, ma sulle conseguenze e il forte bisogno di riscatto. Non è un libro scritto per commuovere o per far leva sull'emotività del lettore, anzi, è un libro scritto per aprire gli occhi, allargare la mente, rendere più consapevoli e quindi più forti. La trama è completamente riassunta nella prefazione quindi non aspettatevi una storia di violenza, perché gli accenti sono puntati sul dopo.
Prima c'era il silenzio, adesso c'è la voce. E se una donna fatica a farsi sentire, tante insieme possono gridare e fare la differenza.
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