29 marzo 2019

Recensione, NINNA NANNA di Leïla Slimani

Lettori, sono già tornata! Incredibile ma vero non appena ho finito di leggere Ninna Nanna, il romanzo vincitore del premio Goncour 2016, sono subito corsa alla tastiera perché avevo urgenza di mettere nero su bianco pensieri ed emozioni.
Non aggiungo altro. Vi lascio al mio delirante pensiero.

Ninna Nanna di Leïla Slimani 

| Rizzoli, 2017 | pag. 201 |

Quando arriva il secondo figlio, Myriam decide di riprendere a lavorare. È una scelta sofferta, ragionata, discussa a lungo con Paul, il marito, eppure imprescindibile, e appena si presenta l'occasione la neomamma la afferra con tenacia e torna alla sua professione di avvocato. Adesso però serve una tata per Mila e Adam. Sarà una selezione severa, nessuno affida di buon grado i propri figli a una sconosciuta. Poi un giorno nell'appartamento dei Masse entra Louise: luminosa, solare, dolce, e i bambini, soprattutto Mila, sembrano sceglierla prima dei genitori. È l'incastro perfetto dell'ultima tessera di un puzzle. La donna guadagna l'affetto incondizionato dei piccoli e la gratitudine di Myriam e Paul, trasforma la casa in un incanto, li vizia anticipando ogni loro necessità. Finché questo rapporto di dipendenza, come tutte le dipendenze, non si incrina, mostrandosi eccessivo, non si rivela sbagliato e infine deraglia rovinosamente. Attraverso la descrizione chirurgica, certosina, della giovane coppia e della figura intrigante e misteriosa della tata, "Ninna nanna" affonda lo sguardo nelle nostre concezioni dell'amore, dell'educazione, dei rapporti di forza che si celano dietro il denaro, parlandoci di pregiudizi culturali e di classe e del tempo in cui viviamo. E ci mette di fronte ad alcune delle più recondite paure di ogni genitore, di ogni donna e di ogni uomo.
Voto

La storia inizia dalla fine. Un bambino trovato morto, la sorella in fin di vita, la baby sitter accusata di omicidio. Fin da subito mi sono chiesta... ma le cose stanno davvero così? La verità è quella che ci viene presentata?
Leïla Slimani fa subito un passo indietro e ci racconta gli antefatti.
Miryam e Paul sono una coppia felice, ma l'arrivo del primo figlio sbilancia il loro equilibrio, il secondo nato lo spezza. Dietro ai biberon da preparare e ai pannolini da cambiare non c'è una famiglia felice, ma appesantita dalle responsabilità. La routine è fatta di occhiaia, rimpianti, malinconia, finché un giorno non arriva Louise, la tata perfetta, la donna che porterà luce e gioia nelle loro vite.
Miryam potrà finalmente appagare le sue ambizioni lavorando, Paul troverà a casa una moglie soddisfatta e tutto sarà così perfetto da renderli ciechi - "si comportano come bambini viziati, come gatti domestici" scrive l'autrice - ignari del fatto che Louise si stia poco alla volta costruendo un nido invisibile a casa loro. Lei, così minuta, discreta, abilissima nell'operare dietro le quinte, sembra avere il dono dell'invisibilità, invece c'è. Lo sanno Adam e Mila, i bambini. E ben presto lo capiranno anche Miryam e Paul.
Dietro a uno stile asciutto e a una narrazione secca e veloce, si nascondono i disagi del secolo, i lati oscuri della maternità, l'incapacità di crescere, maturare, le piccole e grandi intolleranze che ci rendono egoisti, egocentrici, razzisti.
Non c'è scampo per nessun personaggio. L'autrice li analizza in modo chirurgico, fotografa le loro azioni, registra le loro parole e lascia a noi il compito di giudicare.
Ispirato a un fatto di cronaca vera avvenuto a New York, Ninna Nanna è un titolo politicamente scorretto che affonda le unghie nel tessuto sociale, strappa quel falso velo di ipocrisia in cui ci illudiamo di trovare confortare e trasmette disagio, angoscia, terrore. C'è sempre la sensazione che qualcosa stia per esplodere e soprattutto che il colpevole non sarà solo uno.

Perché un voto così basso allora? Per il finale. Ha funzionato tutto perfettamente fino a venti pagine dalla fine, poi non so cosa sia successo.
Mi figuro una roba del genere.

"Leïla, muoviti, domani andiamo in stampa"
"Arrivo, arrivo, mi manca la parte che collega la storia alle battute iniziali...."
"Non c'è tempo, dai. Va bene così. Si capisce lo stesso."
*consegna il manoscritto*

Quindi sì. Ritrovarmi tra le mani una bomba e non averla vista esplodere ha pesato notevolmente sul mio giudizio finale. Peccato, perché fino a un certo punto mi sembrava di assistere all'autopsia - lucida e spietata - di un crimine, però poi, medico legale, polizia e testimoni... hanno dato forfait...

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28 marzo 2019

Recensione, KRAMP di Maria José Ferrada

Lettori belli buongiorno e buon #BBB!
Oggi pubblico la recensione per il #bookbloggersblabbering di marzo, un romanzo breve che a distanza di giorni mi porto ancora addosso, ed è una sensazione bellissima.
Quindi 3, 2, 1, via!

KRAMP di Maria José Ferrada

| Edicola Ediciones, 03/2018 | pag. 128 |

Complice una madre distratta, che non vede bene dall'occhio sinistro, a sette anni M, invece che andare a scuola, viaggia ogni giorno per le polverose strade di un Cile di provincia, accompagnando D, il padre, nel suo lavoro di commesso viaggiatore di articoli di ferramenta. M e D lavorano in squadra. La presenza della bambina, con le sue scarpe lustre, la valigetta di plastica e un talento precoce nell'intercettare le debolezze altrui, impietosisce i clienti e fa aumentare le vendite di chiodi, martelli, seghetti e viti. D non è granché come padre, ma si rivela un eccellente datore di lavoro e in questi viaggi M inizia a costruire il proprio inventario del mondo, usando gli oggetti quotidiani come mezzo per comprendere la realtà. Fino al giorno in cui i vari elementi che le girano attorno - il passato della madre, D e il suo codice d'onore, i fantasmi di E, la fiducia nell'opera del Grande Falegname e i tempi che corrono - invece che incrociarsi e proseguire ognuno per la propria strada, la centrano in pieno. Attraverso una scrittura sensibile e precisa, sempre in bilico tra nostalgia e ironia, María José Ferrada usa la sua esperienza di autrice di libri per l'infanzia per dare alla protagonista M una voce sincera e autentica, capace di raccontare un mondo crudele e disordinato dove la memoria e l'abitudine di classificare oggetti ed esperienze sembrano le uniche strategie per sopravvivere.
Banale dirlo, ma questo libro è un gioiellino. Un breve e intenso romanzo in cui Maria José Ferrada riesce a trasportarci con poche ma ben pesate parole in una realtà distante, quella del Cile di Pinochet, per raccontarci una storia tanto comune quanto insolita, quella di un padre e di sua figlia.
M ha solo sette anni quando inizia a uscire con D, un commesso viaggiatore di articoli Kramp grazie al quale scoprirà le meraviglie e i disincanti del mondo attraverso i banconi delle ferramenta e i tavolini dei bar. Il loro è un sodalizio perfetto; M intenerisce gli ipotetici acquirenti, le vendite di D aumentano e lei riceve dei regali. È un rapporto sicuramente anticonvenzionale, ma perfettamente funzionante. E poco importa se M debba mentire alla madre e vada a scuola due giorni su cinque... gli affari sono affari.
In molti giudicherebbero riprovevole il comportamento di D, ma da un altro punto di vista lo si potrebbe definire un vero e proprio pioniere della pedagogia sistemica. M infatti cresce sveglia, arguta, forse un po' cinica, ma non amarla sarà assolutamente impossibile. Si racconta con ironia, parla della vita, riflette sulla morte, conta i soldi, pianifica il futuro, mantiene lucide le scarpe e fa anelli di fumo prima di incontrare i clienti perché porta fortuna.
Il background è muto, discreto, quasi immaginifico, sono pochi gli elementi che contestualizzano il luogo e il momento in cui si snodano le vicende, uno su tutti è lo sbarco sulla luna, un evento così straordinario che ha reso possibile qualsiasi cosa. Se l'uomo ha conquistato lo spazio allora non c'è niente che non possa fare, no? Lo pensa M, lo pensano tutti, eppure il regime che si sta imponendo è di quelli che invece di aprire gli orizzonti li chiuderà. E Maria José Ferrada, quasi a voler tutelare i suoi personaggi, non li chiamerà mai per nome, ma solo con la loro iniziale. Perché meno si dice meglio è. Ogni parola di troppo potrebbe essere pericolosa.
Quella raccontata in Kramp infatti è una storia semplice solo all'apparenza; come molti romanzi di formazione termina nel momento in cui la protagonista cresce, quando i suoi punti di riferimento cambiano e le consapevolezze si fanno strada tra i sogni e le illusioni. Ma tra queste pagine, insieme a una narrazione lirica e meravigliosa, c'è molto altro. Orrore e paura. Malinconia e verità. Amore e sofferenza. Il mondo vi apparirà come il più ridicolo e spietato dei teatri. Divertente a una prima occhiato, terribile a una seconda.
Vi invito a leggerlo tutto d'un fiato. La prosa vi saprà incantare e la voce di M sarà un'eco indimenticabile.
«Mi ricordo che durante un campeggio uscimmo a guardare le stelle e, usando la Croce del Sud come punto di riferimento, spiegai ai miei compagni che quelle che scintillavano in lontananza non erano stelle, ma bullette da mezzo pollice con cui il Grande Falegname aveva appeso tutto in cielo.
Noi inclusi.
Quel che voglio dire è che ognuno cerca di spiegarsi il meccanismo delle cose con ciò che ha sottomano. Io, a sette anni, avevo allungato la mia e avevo trovato il catalogo dei prodotti Kramp»
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Il Book Bloggers Blabbering

21 marzo 2019

Recensione, IO TI HO TROVATO di Lisa Jewell

Torno a parlare della Jewell, anche se dopo il bellissimo Ellie all'Improvviso ero pronta a un romanzo non altrettanto bello. Certi miracoli sono difficili da ripetere. Sarà dura per l'autrice conviverci ;)

P.S. Sono stata particolarmente severa con il voto... vabbe', si vede che quando l'ho dato ero in modalità signorina Rottermeier.

Io Ti Ho Trovato di Lisa Jewell

| Neri Pozza, 2017 | pag. 349 |

Alice Lake vive in un piccolo cottage sulle coste orientali dello Yorkshire. Madre single di tre figli, per mantenere se stessa e la sua famiglia compone collage con ritagli di vecchie carte geografiche, che provvede poi a vendere in rete. Una sera, sulla spiaggia, Alice scorge la sagoma di un uomo: seduto sulla sabbia umida, le braccia allacciate intorno alle ginocchia, l'uomo indossa solo jeans e camicia e sembra indifferente al vento che solleva spruzzi gelidi. Non è abbastanza malconcio per essere un vagabondo né abbastanza strano per essere un paziente del centro di salute mentale del paese. Ma ha un'aria talmente sperduta, uno sguardo cosi confuso e triste che Alice decide di avvicinarlo e di prestargli soccorso. L'uomo le rivela di non sapere nulla di sé, del perché si trova lì e di come ci è arrivato. Tra gli sguardi increduli dei tre figli, Alice porta a casa lo sconosciuto e lo sistema nella piccola dépendance che di solito affitta, ma in quel momento è vuota. Una decisione avventata e di certo rischiosa, dato che quell'uomo in evidente stato confusionale e senza alcuna memoria del suo passato potrebbe essere chiunque. Quella stessa sera, a Londra, Lily Monrose telefona alla polizia per denunciare la scomparsa di suo marito, Carl Monrose. Quando non lo ha visto tornare dal lavoro ha avuto la sensazione che un ghiacciolo le scivolasse lungo la schiena. Lei e Carl sono rientrati dal viaggio di nozze solo dieci giorni prima e lui si precipitava a casa tutte le sere appena finiva di lavorare, prima di svanire nel nulla lasciando dietro di sé una scia di inquietanti interrogativi, tra cui una falsa identità. La soluzione di questi misteri sembra condurre a un evento accaduto ventitré anni prima, quando due adolescenti, Gray e Kirsty, in vacanza con i loro genitori in un pittoresco villaggio di mare, incontrarono un giovane un po' singolare. Un giovane che aveva occhi solo per Kirsty.
Voto:

Quando ti colpisce un battere peggio del Yersinia pestis mentre combatti la malattia ti serve un libro salvagente, un libro che abbia quindi altissime probabilità di gradimento.
Ho optato per Io Ti Ho Trovato di Lisa Jewell perfettamente conscia del fatto che l'autrice non potesse aver scritto un altro gioiello come Ellie all'Improvviso (qui la recensione), ma nemmeno una colossale schifezza.
E avevo ragione. Io Ti Ho Trovato è un buon titolo d'intrattenimento e anche se una volta sfogliata l'ultima pagina non vi alzerete per fare una standing ovation all'autrice, non vorrete nemmeno lanciare il libro dalla finestra.

La storia gioca su due piani temporali e tre narrazioni differenti. Da una parte abbiamo una donna che si offre di aiutare un uomo che ha perso la memoria, dall'altra una moglie disperata per l'improvvisa scomparsa del marito mai rientrato a casa dal lavoro. Parallelamente assistiamo a una serie di eventi avvenuti circa vent'anni prima, durante un'estate che si porterà via tutto: amore, famiglia, affetti, innocenza.
Ma se Ellie all'Improvviso gode di quella prevedibilità tipica dei romanzi in cui non sono importanti i "chi", ma i "perché", in Io Ti Ho Trovato l'autrice costruisce il plot su una struttura decisamente più gialla, peccato che dopo un centinaio di pagine ci sia ben poco da scoprire. Tutto non è stato detto, ma tutto sembra già scritto. E se in Ellie, la conferma delle proprie ipotesi getta il lettore in uno stato di terribile angoscia, questa volta a prevalere sono i "be', uffa, lo sapevo già". 

Peccato, perché lo stile della Jewell è molto avvolgente, visivo, scorrevole, dalla sua penna prendono forma personaggi convincenti e poco convenzionali, da Alice, che con la sua insolita stravaganza e i suoi tre figli avuti da tre uomini diversi non si farà problemi nell'ospitare un perfetto sconosciuto, a Lily, giovane sposa ucraina, angosciata e disorientata in un Paese in cui fatica a muoversi se a stringerle la mano non c'è suo marito.
Io Ti Ho Trovato è un titolo molto femminile che racconta le varie forme dell'amore, da quello giusto a quello sbagliato, da quello che ti inganna tenendoti prigioniero a quello a cui ci aggrappiamo disperatamente credendo che sia vero.
Forse se la Jewell avesse sottinteso la verità spostando l'attenzione su altri fattori, la noia non avrebbe avuto il sopravvento. Forse non avrei alzato gli occhi al cielo quando un capitolo terminava con una folgorante rivelazione che di folgorante non aveva assolutamente nulla. E forse mi sarei affezionata ai personaggi, almeno ai protagonisti, invece ancora una volta l'ago della mia personalissima bilancia ha preferito pendere verso i "cattivi".
E lo ripeto, è un gran peccato perché l'autrice sa scrivere davvero bene, infatti mi sento comunque di consigliare il romanzo a tutte quelle lettrici che non masticano molto i thriller e che probabilmente tra queste pagine troveranno la loro giusta dose d'intrattenimento.

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17 marzo 2019

Recensione, CHI HA RUBATO ANNIE THORNE di C. J. Tudor

Ma che belli i libri che creano malessere! Quanta gioia nel ritrovare in libreria un horrror. E chi se ne frega se la Tudor si ispira/copia/omaggia King. Lo fa bene. Serve altro?

CHI HA RUBATO ANNIE THORNE? di C. J. Tudor

| Rizzoli, 2019 | pag. 350 |

Arnhill, piccolo villaggio di miniera inglese. Nel 1992 una banda di quindicenni trova l'ingresso ai cunicoli. Scendono in cinque: Hurst, la mente; Fletch, il braccio; Chris, la bussola; Marie, l'affascinante fidanzatina di Hurst; e Joe Thorne. Si imbattono in un ossario di bambini, sepolti laggiù da chissà quanto tempo. Ma non sono soli. Annie, la sorellina di otto anni di Joe, li ha seguiti fin lì. E quando un'altra presenza si manifesta, vomitando milioni di scarafaggi dai teschi, dalle ossa e dai crepacci del terreno, tutto precipita. Nella confusione della fuga, qualcuno sferra un colpo mortale alla testa di Annie. Nonostante gli altri lo abbiano abbandonato chiudendosi la botola alle spalle, Joe riesce a tornare a casa. Due giorni dopo, torna anche Annie. Nessuno sa dove sia stata. Oggi, venticinque anni dopo quel giorno e infrangendo la promessa che aveva fatto a se stesso, Joe ha deciso di rimettere piede a Arnhill. A convincerlo a intraprendere il viaggio è stata un'email anonima: "So cos'è successo a tua sorella", gli hanno scritto. Sta succedendo di nuovo.
Voto:


"A volte hai solo una scelta,
ed è quella sbagliata."

Avevo amato L'Uomo di Gesso (qui la recensione) non tanto per la parte thriller della storia, ma proprio per lo stile narrativo, per la grande capacità dell'autrice di tracciare, lungo le pagine, una scia di malessere quasi contagiosa. E ho amato Chi Ha Rubato Annie Thorne? per lo stesso identico motivo.
C. J. Tudor torna a omaggiare Stephen King e in un panorama di pubblicazioni in cui il genere horror sembra non esistere quasi più, io sono grata a questo libro. È vero, leggendo la trama basterà fare 1+1 e sarà subito chiaro quale romanzo possa aver ispirato l'autrice, ma sapete una cosa? Chi se ne frega.

Anche questa volta il libro è strutturato su due piani temporali, passato e presente si alternano e se all'inizio conosciamo Joe Thorne, un uomo con una voragine nel petto e una lunga lista di bugie pronte per essere snocciolate, poco alla volta scopriamo il perché del suo ritorno ad Arnhill, il paese natale, un luogo ostile, ripiegato su se stesso, in cui i visitatori sono guardati con diffidenza e sospetto. A Joe non verrà riservato nessun trattamento di favore, perché dopo venticinque anni non è più considerato uno del posto; ufficialmente è tornato per ricoprire il posto di professore all'interno della scuola, ufficiosamente vuole saldare antichi debiti, svelare segreti, sollevare tappeti. Perché una notte di tanti anni prima è successo qualcosa di terribile... e forse sta per ricapitare.
"Vorrei poter dire alla mia sorellina che le volevo bene. Che la amavo con tutto il cuore. Era la mia migliore amica, la persona con cui potevo essere davvero me stesso, l'unica capace di farmi ridere fino alle lacrime.
Ma non posso. Perché a otto anni mia sorella è scomparsa. All'epoca pensai che fosse la cosa più terribile che potesse mai accadere al mondo.
Solo che poi tornò."
Ci sono miracoli e miracoli. Alcuni arrivano dall'alto, altri invece salgono dal basso.
Joe sa bene a quale categoria appartenere. Dopo quella notte nella Fossa, all'interno della vecchia miniera, niente è più stato come prima. Sua sorella è scomparsa per poi tornare dopo quarantotto ore... solo che non era più la sua Annie. È stato l'inizio della fine. I ricordi belli hanno iniziato a svanire, come se non fossero mai esistiti, e la vita ha cominciato a riempirsi di incubi e rimpianti. Il tempo non ha curato nessuna ferita e il dolore si è diffuso come un morbo.

Sono diverse le cose che ho amato in questo libro a partire proprio da Joe, una voce narrante di grandissimo effetto, non il solito protagonista bravo e buono, ma un uomo fatto di lividi e ossa rotte. Ex bambino nerd, sempre attaccato a tv e videogiochi, da adolescente è stato scelto da Hurst per far parte della sua banda di giovani debosciati e per sentirsi parte di un gruppo, per non essere più uno sfigato, si è ritrovato a fare le peggio cose. Poi è cresciuto, è diventato adulto, ha accumulato debiti di gioco, è diventato un insegnante, ma anche in questo caso sono stati più i demeriti dei meriti. Joe è un antieroe in tutto e per tutto. Cinico, inaffidabile, rancoroso. Ma a conquistarmi è stata la sua tagliente ironia che sfoggia come meccanismo di difesa e che lo fa apparire come un grandissimo stronzo menefreghista. Invece una coscienza ce l'ha. O non sarebbe tornato ad Arnhill.
"La vita non è gentile. Con nessuno.
Accumula macigni su macigni, ce li carica sulle spalle. Dilania le cose a cui teniamo e riempie le nostre anime di rimpianti."
Stilisticamente l'ho adorato. La Tudor è una calamita, anche quando non racconta niente di stravolgente riesce a tenerti incollato alle pagine. Arnhill è un po' la Derry di It. Tanti segreti, poche verità. Atmosfere cupe, incubi che prendono forma. Non c'è scampo tra queste pagine. E come per L'Uomo di Gesso ho apprezzato che il genere del libro e la storia in sé, fossero un pretesto per raccontare anche altro. L'adolescenza, la crescita, il bullismo, l'emarginazione. Sono tutti temi cari alla Tudor e anche se talvolta ne abusa sa come gestirli e li mette a servizio dello sviluppo dei suoi personaggi.
Ecco, se proprio devo muovere una critica, forse c'è uno sfoggio eccessivo di "botta e risposta", però i dialoghi al fulmicotone sono i miei preferiti quindi la assolvo da tutti i suoi peccati, confido che la sua anima possa diventare ancora più nera, e resto in trepidante attesa del suo prossimo romanzo.

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12 marzo 2019

Recensione, IL VANGELO DEL COYOTE di Gianluca Morozzi

Lettori buongiorno! Oggi si parla di nuovo di Morozzi, perché a distanza di un paio di mesi dalla lettura di Radiomorte (qui la recensione) ho sentito il bisogno di tornare nel malsano mondo dell'autore bolognese. E tra pazzi, squilibrati e sociopatici... io ci sto sempre una meraviglia 8)

Il Vangelo del Coyote di Gianluca Morozzi

| disegnato da Giuseppe Camuncoli e Michele Petrucci |
| Oscar Ink, 2017 | pag. 128 | € 17,00 |

Due ragazzine annoiate trovano in un film l'ispirazione per un passatempo crudele e perverso. Un professore nasconde in cantina un orrendo segreto. Due storie parallele che convergono fino a collidere in un climax di agghiacciante follia.
Voto:

Ciliegine sulla torta ne abbiamo?
Rifaccio.
Scheletri nell'armadio ne teniamo?
Ecco, così siamo giù più in linea con il mood di Morozzi 8)
Ma era buona anche la prima, perché se siete fan dell'autore questo fumetto è una perfetta ciliegina sulla torta. Una torta sicuramente avvelenata, ma vabbe', non stiamo a guarda' il capello!
Se per alcuni Il Vangelo del Coyote si è rivelato un libro troppo pulp e truculento, per me è stato semplicemente Morozzi. Politicamente scorretto. Socialmente disturbato. Meravigliosamente citazionista.
Sono due le storie che viaggiano parallele, una disegnata da Giuseppe Camuncoli che vede Skoda e Liù, due amiche molto particolari, replicare con grande lucidità e sadismo quanto visto in un film horror; l'altra ad opera di Michele Petrucci che ha saputo rendere con un tratto nervoso e spigoloso le ossessioni di un professore che custodisce in cantina un atroce segreto.
La narrazione, fluida e visionaria, trasporta il lettore in un mulinello di terrore in cui poco si vede, ma fin troppo si immagina. E ricordiamocelo, l'orrore più grande sta proprio in quello che possiamo solo intuire senza che ci venga mostrato.
Geniale in finale che vede il convergersi delle due narrazioni e sull'epilogo che dire... potete immaginarvelo, in fondo quando mai Morozzi si è elevato a paladino della pace? Quando mai ci ha regalato happy end?
Un fumetto veloce da leggere, ma difficile da dimenticare. Il Vangelo del Coyote sedimenta, corrode, infetta. A me è piaciuto. Però, se ancora non conoscete l'autore bolognese, il mio consiglio è quello di partire da un suo romanzo e di lasciare che questa chicca diventi per voi, come per me, la ciliegina sulla torta.


Nota:
Esiste in commercio un'edizione Guanda del 2007, ma in bianco e nero.
Personalmente consiglio assolutamente quella a colori.

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7 marzo 2019

Recensione, SENTI LA SUA PAURA di Peter Swanson

Lettori, il lavoro mi sta uccidendo, e insomma, per una lettrice di thriller come me potrebbe essere quasi una bella cosa, invece no, fa schifo.
Vi lascio la recensione di uno degli ultimi noir che sono approdati nella mia libreria; Swanson è sempre un bravo narratore ma stavolta i brividi sono stati pochi e il divertimento non costante.

Senti la Sua Paura di Peter Swanson

| Einaudi 2018 | pag. 350 |

Kate ha solo venticinque anni, ma da quando è rimasta vittima della follia di un ex fidanzato la sua vita si è congelata. Ha mollato l'università, si è barricata in casa per sfuggire alle crisi di panico. Per questo accoglie la proposta di un cugino che non ha mai incontrato come l'occasione per ricominciare. Corbin vive a Boston ma deve trasferirsi a Londra e le chiede di scambiare gli appartamenti. A destinazione, Kate trova una tremenda sorpresa: la sua vicina di pianerottolo è stata barbaramente uccisa. E suo cugino Corbin intratteneva con lei un rapporto complesso. Giorno dopo giorno, chiusa in una sontuosa scatola piena di porte e finestre, Kate deve affrontare una paura ancora più devastante degli spettri che popolano la sua testa. Questa volta potrebbe non uscirne viva. Con il tocco dei maestri del noir, Swanson firma una storia capace di indagare le ossessioni del nostro presente, esplorando la natura della ferocia nelle sue incarnazioni più subdole.
Voto:

"Tutti gli assassini sono i migliori amici di qualcuno"
Agatha Christie

Quando un autore scrive un gran bel libro dopo ha vita dura.
Quelli Che Meritano di Essere Uccisi (qui la recensione) è il fiore all'occhiello di Peter Swanson e ogni suo romanzo postumo (e non) finirà sempre sotto la mia personalissima lente d'ingrandimento e sarà oggetto di paragone.
Senti la Sua Paura ha retto al confronto? No. Ma se da una parte era quasi ovvio, dall'altra si è confermata una discreta lettura d'intrattenimento in cui l'autore omaggia, per l'ennesima volta, il maestro indiscusso del brivido: Alfred Hitchcock.

Tutto inizia con uno scambio di appartamenti.
Kate ha da poco risalito la china, dopo essere stata quasi uccisa dal fidanzato e aver passato mesi in terapia per superare lo shock, decide finalmente di dare una svolta alla sua vita e accetta la proposta del cugino Corben. A lui serve un alloggio a Londra per un impegno di lavoro, e lei si potrà trasferire a Boston per sei mesi dove frequenterà un corso di graphic design.
Ad attenderla c'è un bellissimo appartamento, un dirimpettaio con il vizio di guardare nelle case altrui e una vicina scomparsa che verrà poi dichiarata morta. Ciao America, avrei preferito non conoscerti.

Senti la Sua Paura è una storia dalle tinte misteriose che a fasi alterne strizza l'occhio a La Finestra sul Cortile e ad American Psycho, un romanzo che non ci stupirà con effetti speciali e non ci regalerà particolari colpi di scena, ma ci penseranno alcuni personaggi dalla personalità deviata a regalarci un po' di gioie. Perché un lettore di noir non se ne fa niente dei buoni. Un lettore di noir vuole, esige e pretende i cattivi. Cattivi con la "C" maiuscola tra l'altro.
Peccato che Swanson punti troppo spesso l'obiettivo su Kate, una protagonista brava sola ad attirare sfighe e disgrazie senza però dispensare ansie e paure. Non c'è niente da fare, l'autore con le vittime non ci sa fare. Lui è geniale là dove racconta il male, le sue origini, il suo perverso sviluppo e Senti la Sua Paura poteva essere un'ottima storia - morbosa e disturbante - sulla vendetta e la sudditanza. Ma Kate è una disturbatrice cronica e rovina un po' tutto. Sentivo i brividi scorrere lungo la schiena solo quando il focus si spostava da lei, dalle sue paranoie, dai suoi pensieri noiosi e pedanti, a favore di personaggi che avevano davvero una storia da raccontare.
Quindi bene, ma non benissimo.
Siamo lontani dalla lucida follia di Quelli Che Meritano di Essere Uccisi (Lily, mi machi!), ma Swanson resta un autore da tenere d'occhio. Vedremo come andrà con il suo prossimo romanzo. Lo attendo al varco. Armata di coltello.

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