24 luglio 2019

Recensione, Anna Édes di Dezső Kosztolányi

Che bello quando si deve recensire un romanzo che ti è piaciuto. Lo si fa davvero a cuor leggero, senza patemi, senza "Oddio, ma sarò stata abbastanza diplomatica? Avrò offeso qualcuno?". Solitamente sì, ho offeso qualcuno (sempre in modo bonario, giuro!), ma oggi il mio unico pensiero è quello di rendere giustizia a un grande classico ungherese. Forse non ci riuscirò, forse non sarò all'altezza, ma in ogni caso sappiate che ve lo consiglio ;)

Anna Édes di Dezső Kosztolányi

| Anfora Edizioni, 2018 (2° ed.) | pag. 272 |

Nel tumultuoso periodo del primo dopoguerra ungherese, tra rivoluzioni e controrivoluzioni, in un tranquillo quartiere di Budapest, una famiglia borghese e benestante assume una giovane cameriera, Anna. Il quotidiano sembrerebbe procedere sereno se non fosse che lentamente la dura condizione di serva corrode l'animo docile e benevolente della ragazza, che si trova persino sedotta e abbandonata da un membro della famiglia. Per i padroni il culmine sarà inatteso e disgraziato.
Era da tanto che non leggevo un classico, l'ultimo è stato Noi di Evgenij Zamjatin nel 2017, lettura non semplice ma necessaria per un'amante come me della distopia, ma Dezső Kosztolányi mi ha ricordato che non tutti i romanzi dei primi Novecento sono stilisticamente complessi e tediosi, anzi.
Anna Édes è scorrevole, pungente, moderno e in qualche modo destabilizzante. I tempi sono un po' dilatati questo va detto, per le prime cento pagine succede poco o niente, eppure la curiosità di sapere cosa si cela dietro al mondo artefatto che racconta l'autore avrà sicuramente la meglio.

Siamo nel 1919, l'Ungheria sta attraversando un momento politico e sociale non semplice, il comunismo non ha retto che pochi mesi, ma in un clima di tensione che culmina con l'invasione dei romeni l'unico pensiero delle donne appartenenti alla classe borghese sembra essere solo uno: avere la domestica perfetta.
"La compagnia delle serve è comoda per le padrone quanto l'amore delle ragazze di strada per gli uomini. Nel momento in cui non servono più possono essere mandate via."
La signora Vizy infatti, mentre il marito si occupa di affari (e forse anche dell'amante, ma chi se ne frega), licenzia la sua domestica (era svogliata e troppo "allegra") e fa di tutto per portarsi in casa Anna Édes, una ragazza di diciannove anni, mite, diligente e coscienziosa che si rivelerà essere la cameriera esemplare. Di religione cattolica, pulita, discreta, abituata a mangiare poco pur lavorando instancabilmente, Anna Édes sarà l'orgoglio dell'Illustrissima e l'invidia di tutti i condomini, finché non entrerà in scena Jancsi, nipote dei Vizy, un giovane di mondo, pigro e licenzioso, più propenso a feste e corteggiamenti che al lavoro. Quando i suoi occhi cadranno sulla povera Anna l'apparente equilibrio della casa inizierà a vacillare e un tragico quanto inaspettato finale farà calare il sipario su quella che sembrava una semplice commedia invece è molto di più.

Dezső Kosztolányi, autore dalla sottilissima e acuta ironia (e non potrebbe essere diversamente visto che è il traduttore di Pirandello in ungherese) è stato capace di fotografare con grande realismo una Budapest in cui convivono mille contraddizioni, demonizzando allo stesso i suoi ricchi abitanti.
Quello che però ho maggiormente apprezzato è come sia riuscito a portare in scena il dramma esistenziale, quel tipo di malessere che si nutre di solitudine, emarginazione e infelicità. Anna è un personaggio molto chiuso e introverso, di lei sappiamo pochissimo, la conosciamo perlopiù attraverso gli occhi degli altri personaggi, ma è impossibile non accorgersi che nel momento stesso in cui mette piede in casa dei Vizy ha inizio il suo processo di depersonalizzazione; per l'Illustrissima è un semplice trofeo da sfoggiare, per Janci un corpo da mettere in orizzontale (testuali parole!), per i condomini una creatura incomprensibile. Una cosa è chiara fin da subito: Anna è triste. Avverte il peso del mondo, cerca di sostenerlo, si piega sotto di esso, finché non ce la fa più. È vero che le sue azioni non vengono spiegate, che il punto di rottura sembra sfocato, quasi impercettibile, eppure se ripenso a questa giovane donna umiliata, defraudata, sottomessa e sola (molto sola) i tratti della sua psicologia diventano improvvisamente più nitidi. Incredibile quanto questo libro sia attuale nel raccontare come le azioni di una persona spesso siano la diretta conseguenza di quelle altrui.

Anna Édes è un romanzo fatto di dicotomie e paradossi, luci e ombre, piccoli sprazzi di apparente felicità e tragici momenti di agonia, ma da colui che viene definito il Dostoevskij ungherese non potevamo aspettarci niente di meno: uno specchio in cui far riflettere lo sfarzo e la rovina, un libro sottilmente ambiguo ma di una lucidità disarmante.
Se avete un timore quasi reverenziale nei confronti dei classici dategli una possibilità. Anna Édes potrebbe sorprendervi.

Film: Anna


Anna Édes è anche un film del regista ungherese Zoltán Fábri uscito in patria nel 1958, ma purtroppo mai stato doppiato in italiano; esiste però una versione sottotitolata a cura della casa editrice Anfora con l'Accademia dell'Ungheria utilizzata esclusivamente durante gli eventi e le presentazioni.



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22 luglio 2019

Recensione, A Bocca Chiusa di Stefano Bonazzi

Lettori buongiorno, finalmente ecco qui la recensione di A Bocca Chiusa, su Instagram vi ho ammorbato per due settimane con questo libro e sì, non sarò contenta finché non l'avrete letto tutti (tutti i lettori di storie malate ovviamente), perché dobbiamo parlare!!!
Intanto buona review ;)

A Bocca Chiusa di Stefano Bonazzi

| Fernandel, | pag. 252 |

L'afa d'agosto è insopportabile, soprattutto quando hai dieci anni e sei costretto a startene chiuso in casa con il nonno, una belva in gabbia la cui violenza trova sfogo su di te. E se non puoi frequentare gli altri bambini, anche tu diventi un animale solitario, destinato a crescere somigliando ogni giorno di più al tuo aguzzino. Così finisci per accogliere il seme del male. Lo covi per anni, lo senti germogliare, finché non spunta il desiderio di vendetta. Ma se la persona che ti ha allevato, trattandoti come una bestia, ora è morta, devi scegliere qualcun altro su cui sfogare la tua rabbia... "A bocca chiusa" di Stefano Bonazzi racconta la genesi di un assassino. Un viaggio allucinato tra i deliri del protagonista che, partendo da un'infanzia di violenze e privazioni, attraversa una cruda diseducazione sentimentale e sfocia in un finale tragico e spiazzante.
Voto:

Che strana a volte che è la letteratura. E che strani che siamo anche noi lettori. Quando un paio di mesi fa ho letto L'Inverno di Giona di Filippo Tapparelli mi aspettavo la storia che invece ho trovato qui, nel romanzo di Stefano Bonazzi, A Bocca Chiusa. E per ironia della sorte il primo, vincitore del Premio Calvino nel 2018, pubblicato da una casa editrice di spicco come la Mondadori, acclamato e applaudito dalla critica, non mi ha fatto gridare al capolavoro, anzi. Da un punto di vista narrativo l'ho trovato sbilanciato, la parte onirica fagocita quella più concreta consegnandoci una storia di cui non ho capito nulla per tre quarti e che alla lunga mi ha addirittura annoiata.
Ma non divaghiamo...
A Bocca Chiusa l'ho divorato, consumato, fatto in qualche modo "mio" e nonostante abbia diversi punti in comune con L'Inverno di Giona (ma è stato scritto prima, quindi Bonazzi non si è nemmeno vagamente ispirato a Tapparelli!) mi è piaciuto molto di più. L'ho trovato diretto, tangibile, doloroso, scomodo. Una favola nerissima e crudele che vuole essere una spietata e lucida riflessione sulla genesi del male.

L'autore racconta una storia terribile, quella di un bambino a cui viene negata l'infanzia in tutti i modi possibili. Il protagonista - di cui non ci verrà rivelato il nome - si ritrova a passare l'estate nel piccolo appartamento del nonno in attesa che la madre lo vada a prendere per riportarlo al "sicuro".
Sono pomeriggi caldi, silenziosi e infiniti, da trascorrere con un vecchio taciturno, violento e indecifrabile. L'unica compagnia che ha sono gli omini Lego con cui può giocare senza uscire dal tappeto rosso, perché in casa ci sono delle regole, il nonno non sta bene e non è concesso disobbedire. Mai.
Inevitabile il desiderio di ribellione; incontrarsi coi coetanei, giocare al pallone, scappare da quella prigione di calura e cemento, tornare a respirare, smetterla di contare i giorni che lo separano dall'inizio della scuola.
Ma un desiderio realizzato è un insubordinazione, e come tale va punita.
Improvvisamente lo spazio occupato dal tappeto rosso sembra immenso a paragone del balcone su cui viene rinchiuso senza acqua, senza cibo, sempre e solo coi suoi mattoncini, ma è difficile costruire edifici e inventare storie quando il sole ti picchia sulla testa, il respiro sembra abbandonarti da un momento all'altro e le parole del nonno ti rimbombano nel cervello. "se racconti tutto a tua madre, ti sgozzo!"

A Bocca Chiusa è la storia malata e perversa di chi con il male ci ha vissuto. È una richiesta d'aiuto soffocata e masticata da una realtà che non sempre ci viene mostrata per quello che è. È rabbia, incomprensione, negazione e alienazione. È tutto quello che non sembra e che non vorremmo che fosse.

Io non posso fare altro che consigliarvelo. Tra queste pagine mi sono commossa e arrabbiata tantissimo, ho anche stretto i denti, perché c'è una delle scene più atroci che mi sia mai capitato di leggere, eppure sono qui a dirvi "leggetelo"; a volte spostare il proprio asse, guardare le cose da un punto di vista differente... non è affatto male.

Nota: il romanzo era uscito nel 2014 per Newton Compton. 

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15 luglio 2019

Recensione, ANNE FRANK - diario di Ari Folman e David Polonsky

Era da una vita che non davo cinque stelle a un romanzo, ma a distanza di giorni (emh, settimane...) dall'aver terminato la lettura di Anne Frank, sento che quest'opera se li merita tutti.
Anne Frank è un libro emozionante, vero, divertente, surreale, onirico e crudele. È una delle cose più belle che mi siano mai capitate tra le mani e se nel giro di dieci giorni l'ho riletto due volte (e sto programmando la terza) un motivo ci sarà.

 Anne Frank - diario di Ari Folman e David Polonsky

| Einaudi 2017 | pag. 149 |

Settant'anni fa usciva il "Diario" di Anne Frank. Il mondo scopriva il volto intimo dello sterminio nazista attraverso gli occhi di una ragazzina "qualunque". E oggi, grazie allo sceneggiatore e regista Ari Folman e all'illustratore David Polonsky, le parole di Anne si trasformano in un graphic novel capace di conservarne la forza e di enfatizzarne la straordinaria qualità letteraria. Basandosi sull'unica edizione definitiva del Diario, autorizzata dall'Anne Frank Fonds fondata da Otto Frank, Folman e Polonsky ci consegnano, per mezzo di una prospettiva inedita, la voce di un'adolescente allegra e irriverente, che come ogni sua coetanea - di ieri, di oggi, di sempre - desidera soltanto scoprire un mondo che invece è costretta a sbirciare di nascosto.
Voto:

A determinati libri, o a determinate storie, ci si arriva solo da una strada ben precisa. Io so di averci messo molto tempo, ma di sicuro ne è valsa la pena, perché ho vissuto Anne Frank con grandissima partecipazione grazie al bellissimo evento di Mare di Libri presentato da Matteo Corradini, il curatore del Diario in edizione Bur.
Poi, come al solito, ho fatto le cose un po' al contrario, perché invece di buttarmi sull'opera originale (che avevo letto alle scuole elementari in forma probabilmente ridotta) sono corsa a comprare (prima di prendere il treno che mi riportava da Rimini a Bologna!) il romanzo grafico. Mi sono pentita di questa scelta? Assolutamente no! L'opera di Ari Folman è meravigliosa e le immagini di David Polonsky sono la sintesi perfetta dei pensieri e delle parole di una ragazza che ha cercato di sfuggire alla guerra vivendo segregata in ottanta metri quadri insieme ad altre sette persone per venticinque interminabili mesi.
Ho scoperto con grande dispiacere che spesso ai bambini/ragazzi viene raccontata una Anne Frank diversa, la sua storia, dal tragico epilogo, l'ha resa quasi una martire, il simbolo dell'orrore nazista, ma in realtà Anne era solo un'adolescente come tante e forse come tale andrebbe ricordata. Adorava il padre - l'uomo più buono del mondo - non sopportava la madre - ma si può risolvere tutto pregando? - aveva un rapporto non-rapporto con la sorella - troppo diversa da lei - e sicuramente le andavano stretti anche gli altri inquilini. Apparentemente forse non era l'adolescente più amabile del mondo(#siamotutteunpoanne), ma provate a immaginare una ragazza benestante, abituata alla libertà, ai corteggiatori, a prendere la vita con leggerezza, costretta a sparire dal mondo da un giorno all'altro.
Improvvisamente non c'erano più orizzonti sconfinati, ideali da inseguire e pensieri felici a cui aggrapparsi, ma solo la terribile paura di essere scoperti.
La cosa veramente incredibile di quest'opera però è che va oltre il racconto di guerra e segregazione, non solo stringe il cuore e commuove, ma riesce addirittura a divertire. La signora Van Daan è forse il personaggio più caricaturale, sempre avvolta nella sua costosa pelliccia e costantemente attaccata al suo preziosissimo vaso da notte, ma tutti gli inquilini hanno tratti e sfumature capaci di definirli con una veridicità mista a ironia sorprendenti. Anne era divertente, aveva una fervida immaginazione e Polonsky cattura questo suo lato fresco e inaspettato regalandoci sorrisi invece che lacrime.

Man mano che le pagine scorrono le parti del diario si fanno sempre più importanti e fotografano una ragazza matura e consapevole con un'incrollabile fiducia nel genere umano e la speranza sempre accesa nel cuore. Bellissimo il momento in cui si innamora di Peter, il figlio dei Van Daan; quel ragazzino con cui all'inizio non voleva spartire niente diventa improvvisamente il centro dei suoi pensieri, un motivo in più per credere che qualcosa di bello la vita lo riservi sempre.
Disarmanti invece gli incubi e i pensieri su cosa sta succedendo "fuori", la mente di Anne evoca immagini terribili e non c'è notte capace di regalarle un po' di pace.
L'epilogo credo sia noto a tutti, forse non la dinamica precisa, ma questa storia purtroppo non ha un lieto fine. Si pensa che un dipendente della fabbrica, forse insospettito da alcuni rumori, possa aver chiamato la polizia: le ricompense per chi denunciava degli ebrei erano cospicue e lì ce n'erano ben otto in un colpo solo. Se esiste il karma, se prima o poi tutto torna, in qualsiasi aldilà sia, quella persona non se la sta passando bene.

Che altro dire. Questo libro è un gioiello. Mi ha turbato, divertito, commosso e straziato. Mi ha fatto riflettere. Ho pensato tantissimo, ho rivissuto la storia di Anne infinite volte e per infinite volte avrei voluto avere il potere di cambiarne le sorti. Fa male pensare che per poco non ce l'abbia fatta. Anne è morta di tifo nel marzo del 1945 nel campo di concentramento di Bergen-Belsen pochi giorni prima che arrivassero gli Alleati. In quali orribili tranelli ci fa cadere il destino?

Il romanzo si chiude con l'ultima pagina del diario e per ironia della sorte le parole scritte sono di fede e speranza. È a quel punto che sono crollata sotto il peso di una storia disumana e spietata. È a quel punto che se ne sono andati i sorrisi per lasciare posto alle lacrime.
Obiettivamente credo che non possa esistere una recensione in grado di rendere giustizia a questo piccolo capolavoro. L'opera di Folman e le parole trasformate in immagini da Polonsky ci riportano una Anne che non potrete non amare per la forza e la fragilità, la sfrontatezza e il sarcasmo, il suo essere polemica e irriverente, ma anche dolce e piena di paure. Un romanzo grafico con l'eco. A pochi libri do questa definizione, ma Anne Frank, una volta sfogliata l'ultima pagina, resterà con voi per molto, moltissimo tempo.



Nota: Ari Folman è figlio di ebrei polacchi sopravvissuti ad Aushwitz. David Polonsky è israeliano di origini russe. Immaginate quale impegno possa essere stato per loro dare voce al Diario di Anne Frank.

Nota 2: Ari Folman ha annunciato il film d'animazione Where Is Anne Frank? in cui la via di Anne sarà narrata da Kitty, il suo diario.



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1 luglio 2019

Recensione, IL SORRISO DELLO STRUZZO di Zidrou e Springer

Un po' di (in)sano horror vi manca? Bene. Ecco la storia che fa per voi.

Il Sorriso dello Struzzo di Zidrou, Springer

| Panini, 2019 | pag. 72 | € 19,00 | 

Pep alleva struzzi da anni, la sua vita procede piatta e monotona in compagnia della moglie Dora. Una sera, Pep la porta con sé in aperta campagna, e la uccide con violenza, per poi abbandonarne il corpo in un pozzo. Al ritorno a casa, Dora è viva e vegeta, e da il benvenuto a suo marito sulla soglia di casa... Un racconto cupo e forte, l'orrore entra nella routine della vita quotidiana, dalla quale sembra non esserci via di fuga.
Voto:

Pep, un allevatore di struzzi, una notte porta la moglie in aperta campagna e la uccide, buttando poi il corpo in un pozzo. Chiama l'amante, le dice "è andata!", si cambia i vestiti zuppi di sangue e ritorna a casa dove - immaginate lo shock -  la ben poco gentil consorte lo attende in cucina, con quel suo solito fastidioso sorriso stampato sulla faccia e una corona di bigodini in testa: Dora è ancora viva. Ma com'è possibile?

Allora... Ricordiamoci una cosa. Quando stringiamo tra le mani un racconto dell'orrore a tutti gli effetti nightmares come true. E l'incubo più grande di Pep è proprio quello di condividere l'eternità con una donna pedante come Dora e non sollazzarsi in totale libertà la giovane amante. Vi assicuro che a un certo punto tiferete per lui, anche se meritano un po' tutti di finire con il cranio sfondato: di brava gente qui non ce n'è.

Il Sorriso dello Struzzo è una macabra storia di desideri irraggiungibili che sfiora gli immaginifici territori di Ai Confini della Realtà e Zidrou, nel panorama di un genere fin troppo bistrattato per i miei gusti, si rivela una ventata d'aria fresca. Personaggi negativi, gretti, ignoranti, si muovono in una campagna rurale e decadente in cui gli struzzi sono la metafora perfetta per raccontare la stupidità degli uomini che si credono migliori degli animali che allevano, quando è vero l'esatto contrario.

Graficamente l'impatto è forte. La palette cromatica alterna colori caldi e freddi rimandando alle varie fasi del giorno (mattina, pomeriggio, sera, notte) e i volti dei personaggi, deformati e grotteschi, sono lo specchio delle loro frustrazioni e della pochezza che li caratterizza.
Il fumetto, breve ma intenso, con dialoghi al fulmicotone, ha solo pregi e nessun difetto. L'unico limite è dato dall'esiguo numero di pagine, l'albo ne conta una settantina circa compresa la parte finale in cui è riportata per intero Elle était souriante una canzone del 1908 che ha ispirato Zidrou durante la stesura, ma vi assicuro che allungare il brodo non sarebbe servito a niente. Se alcune storie sono dei colpi di fucile questa è una raffica di mitra.

Insomma, se il macabro vi solletica, se il cinismo vi contraddistingue e se l'horror è la vostra seconda casa, mettete subito Il Sorriso dello Struzzo in wish list. Vi assicuro che è tutto molto orribile. Quindi tutto molto bello 8)


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