27 maggio 2019

Recensione, Stitches di David Small

Lettori buongiornissimo,
Apriamo questa ennesima settimana di pioggia con la recensione di Stitches, l'ultima tappa del mio ammorbamento. Mercoledì ve ne ho parlato su Instagram*, venerdì vi ho mostrato la copia cartacea, e dopo oggi non vi romperò più... fino alla prossima volta!

* il mercoledì, nelle stories, puoi seguire i miei aggiornamenti di lettura nel #wwwwednesday .

SWITCHES ventivove punti di David Small

| Rizzoli Lizard, 2010 | pag. 333 | 

Dopo un'operazione annunciatagli come insignificante, il quattordicenne David Small scopre di non essere più in grado di parlare: gli sono state rimosse la tiroide e una delle corde vocali, e il taglio con cui i medici gli hanno squarciato la gola gli è stato suturato alla bell'e meglio, con ventinove punti che lo accompagneranno per il resto della vita. Sarà solo a cose fatte che David scoprirà di aver avuto un cancro alla gola e di essere stato ignorato dalla famiglia e dai medici, risucchiato dal vortice di rabbia, superficialità e indifferenza che dal giorno della sua nascita gli ha inghiottito la vita. In questa graphic novel, con un caleidoscopio di immagini folgoranti che viaggiano tra l'incubo e la fiaba, tra l'assurdità del reale e la salvezza della fantasia, Small ci regala il difficile racconto di un viaggio: quello di un ragazzino che prima la vita e poi la malattia hanno ridotto a un solitario silenzio, ma a cui l'arte ha finalmente ridato la voce.
Voto:

Stitches l'ho divorato nel giro di un'ora e mezza e in quel lasso di tempo è diventato uno dei memoir più belli che abbia mai letto; nonostante sia una biografia è strutturato e raccontato così bene da sembrare un film. Un film terribile tra l'altro, capace di tenere con il fiato sospeso e di sorprendere il lettore in più di un'occasione.

David Small imprime su carta la sua infanzia fino all'adolescenza, un periodo tutt'altro che facile stravolto da un evento che mise a tacere la sua già poca voglia di comunicare a voce alta. Introverso, incompreso, perso in un mondo fatto di fantasie che è fuga e rifugio al tempo stesso, a quattordici anni finisce due volte sotto i ferri per l'asportazione di una ciste ipoteticamente benigna che si rivelerà essere un tumore.
Ma Stitches non è la storia della sua malattia, tutt'altro. Stitches è una storia a trecentosessanta gradi che porta a galla i traumi e i disagi derivanti dal crescere in una famiglia disfunzionale. David vorrebbe scappare e in qualche modo ci riesce anche, immaginando storie, leggendo libri, disegnando sul pavimento, legandosi un fazzoletto giallo in testa e correndo per il quartiere alla ricerca della tana del Bianconiglio, perché un paese delle meraviglie deve pur esistere da qualche parte. Ma le vie di fuga sono solo nella sua mente e quando si fa sera, quando è a casa, deve fare i conti con cene fatte di silenzi e coperte non rimboccate.




Stitches, come tanti memoir in cui gli autori mettono a nudo il loro passato, è una sorta di esorcismo, perché i demoni si sconfiggono solo affrontandoli. E David Small lo fa, raccontandoci di un padre sempre assente perché troppo preso dal lavoro in ospedale, di una madre anaffettiva, addirittura ostile, in costante conflitto con il mondo intero, di una nonna sul viale della follia, degli amici che non aveva e degli abbracci mai ricevuti.
Forse graficamente non è il tipico fumetto capace di colpire a prima vista, ma fidatevi, Small è uno degli autori più comunicativi che mi sia mai capitato di leggere. Dietro agli occhiali lattiginosi dei suoi personaggi si nascondono emozioni tangibili e le tavole silenziose sono di un'eloquenza disarmante.


Un romanzo davvero bello fatto di rabbia, ribellione e malinconia per tutto quello che poteva essere e non è stato. Il mio consiglio è ovviamente uno solo. Leggetelo. Leggetelo se volete una storia capace di indignarvi, leggetelo se nei libri cercate la verità, leggetelo perché storie così ci rendono empatici, quindi migliori.

Nota: David Small ha potuto realizzare questo memoir senza tabù e censure perché al momento della stesura i suoi genitori erano già morti, ma con ironia e un pizzico di cinismo ha ammesso che in caso contrario, se sua madre avesse avuto occasione di leggerlo, probabilmente non gli avrebbe più rivolto la parola... quindi non sarebbe cambiato proprio niente!

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10 maggio 2019

Recensione, THE KINGDOM di Jess Rothenberg

Capita di finire un libro e di volersi togliere subito un sassolino dalla scarpa. Io ne ho un sacchetto pieno. La delusione per essermi fidata a occhi chiusi della Rothenber è stata cocente. Bene Silvia, così impari.

The Kingdom di Jess Rothenberg

| DeA Planeta, 2019 | pag. 350 |

Voli virtuali negli universi dei propri libri preferiti. Nuotate in compagnia delle sirene. Safari tra elefanti a strisce e purosangue dalle ali di farfalla. Questo e molto altro diventa possibile quando si varcano i cancelli del Regno, il parco a tema più straordinario di tutti i tempi. Ma l’attrazione principale sono loro: le sette principesse androidi create per intrattenere i visitatori. Sempre bellissime, sempre sorridenti, sempre pronte a trasformare i sogni in realtà. Ana, una delle predilette dal pubblico, ama la vita nel Regno. La felicità delle famiglie che accoglie ogni mattina all’ingresso è la sua felicità. Tutto cambia, però, quando Ana incontra Owen. Owen, il ragazzo dagli occhi color cioccolato che lavora nello zoo del parco, è il primo umano che non la tratta come una macchina, il primo che le fa provare un’emozione non contemplata dagli ingegneri che hanno programmato i suoi circuiti: l’amore. E quando Owen sparisce nel nulla, lasciandosi dietro solo un braccialetto carbonizzato, la favola si trasforma in incubo. Accusata di omicidio, Ana si ritrova a combattere per la sua stessa vita, e scopre che nello scintillante Regno che ha sempre chiamato casa niente è come sembra… Echi di Westworld e Il racconto dell’ancella risuonano in questo romanzo folgorante, che ha il ritmo mozzafiato di un thriller ed è al contempo una struggente storia d’amore e una toccante riflessione su che cosa, in fondo, ci rende umani.
Voto:

Spesso i miei ricordi di viaggio sono associati alla lettura di un libro e non dimenticherò mai le ore passate in macchina con il naso tra le pagine di Storia Catastrofica di Te e di Me a ridere e a piangere. Era l'estate del 2012, il panorama fuori dai finestrini cambiava senza che me ne accorgessi, un attimo era giorno quello dopo faceva buio. E io ero sempre là. Con il naso tra le pagine, insieme a Brie, morta di crepacuore dopo che il suo fidanzato l'aveva lasciata.
Ma questa è un'altra storia e se volete saperne un po' di più qui c'è la recensione.
Veniamo a the Kingdom.
Quando ho visto le anteprime di questo libro non ho subito capito, sarà che ultimamente leggo sempre meno romanzi di questo genere, sarà che sono rincoglionita di mio, ma poi la lampadina si è accesa e il romanzo in 3, 2, 1 click, è finito nel carrello di Amazon. È bastato che associassi il nome dell'autrice all'estate del 2012.

Il libro è quindi arrivato, l'ho iniziato e finito in due giorni.
E adesso sono triste.
Sono triste perché non mi è piaciuto quanto Storia Catastrofica. E non ci va nemmeno vicino, sono proprio due mondi lontanissimi e non so se potrò mai perdonare all'autrice la delusione di non avermi fatto emozionare e soffrire come sette anni fa.
Ed è un peccato perché la trama aveva un certo potenziale.
Siamo bellissime. Siamo gentili. Siamo colorate come l'arcobaleno, create per celebrare l'armonia tra le nazioni e per riflettere la diversità del mondo in cui viviamo. Ci piace cantare, sorridere e donare. Non alziamo mai la voce. Il nostro scopo è compiacere. Non diciamo mai di no, a meno che non chiediate di dirlo. La vostra felicità è la nostra felicità. Ogni vostro desiderio è un ordine per noi.
Siamo intorno al 2050 e Ana, la nostra protagonista dal pessimo nome (in inglese di sicuro suona meglio che in italiano) vive all'interno del Regno, un immenso parco giochi a tema in cui veste i panni di una delle sette fantasiste. Deve accogliere i visitatori, sorridere, trasmettere gioia e scattare foto con grandi e piccini. Non è difficile, anche perché Ana è un ibrido, ed è programmata per realizzare i sogni altrui e dire sempre di sì.
Questo è il passato. Il presente la vede invece sotto processo. Ana ha già scontato diversi mesi in prigione ed è accusata di omicidio, ma una ragazza fatta di circuiti e ingranaggi può mentire? Può, attraverso una propria coscienza, decidere di un uccidere qualcuno?

Il romanzo, come avrete capito, tocca vari argomenti, si parla dal libero arbitrio, di anima, di rispetto, di abuso di potere, plagio e sottomissione. Tutto molto attuale, ma tutto raccontato con una velata leggerezza, con troppe cose non dette e vari sottintesi. Mi ha infastidito che l'autrice si addentri in certi territori, lanci il sasso e poi nasconda la mano. Non può. Non si fa. Lo trovo scorretto nei confronti del lettore. Dov'è la Rothenberg di Storia Catastrofica che non ha fatto un solo sconto a Brie? Dov'è il dolore, dove sono le lacrime, dov'è l'ansia di non voler finire un libro per paura di uscirne distrutta? Io non ho provato niente di tutto questo. Poteva succedere qualsiasi cosa che per me sarebbe stato uguale.
Lo stesso stile narrativo, così evocativo nel romanzo d'esordio, l'ho trovato molto più semplice e poco avvolgente e la storia d'amore - che non è alla base, ma funge comunque da cardine allo sviluppo della trama  - non mi ha minimamente fatto battere il cuore.
Insomma, The Kingdom si è rivelato essere è un libro come tanti. Né più né meno. Anzi, forse meno, perché quando un'autrice ti stravolge le viscere una volta, ti aspetti quanto meno che la seconda te le spappoli. Invece no. Nemmeno una piccola ulcera e questo Jess, non me lo dovevi fare! 

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2 maggio 2019

Recensione, QUELLO CHE NON TI HO MAI DETTO di Celeste NG

Lettori bentrovati e buon lunedì!
Lascio oggi qui sul blog la traccia intangibile del mio amore per questo libro bellissimo e molto, molto triste. Buona lettura <3

 Quello Che Non Ti Ho Mai Detto di Celeste NG

| Bollati Boringhieri | pag. 271 | 

È una scena che abbiamo visto spesso al cinema e nelle serie TV: la madre apre la porta della camera della figlia e la trova vuota, il letto intatto. Si teme subito il peggio. Si chiede agli amici, ai vicini, poi si chiama la polizia. La sedicenne Lydia Lee viene ritrovata morta, annegata nel lago vicino a casa: è stata uccisa? E da chi? Oppure si è trattato di un incidente? Perché è uscita di notte? Tutte domande che continuano a tenere il lettore con il fiato sospeso, come in un romanzo giallo. Ma presto altre domande si insinuano nella sua mente, molto meno esplicite ma altrettanto inquietanti. Quello che rende eccezionale questa storia, e ne spiega l’enorme successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è il talento dell’esordiente Celeste Ng nel «dire» e «non dire», nello svelare senza inutile enfasi le radici profonde di una tragedia famigliare solo in apparenza ordinaria.
Voto

Ad attrarmi come una calamita tra le pagine di questo libro è stato l'incipit. "Lydia è morta. Ma questo ancora non lo sa nessuno. 3 maggio 1977, sei e mezza del mattino, nessuno sa nulla se non una semplice cosa: Lydia è in ritardo per la colazione."

Nonostante la storia inizi dalla fine e abbia come fulcro la morte di un'adolescente, Quello Che Non Ti Ho Mai Detto non è un giallo, ma un semplice (che di semplice non ha nulla) romanzo di narrativa. Bellissimo tra l'altro. Così bello che ci si chiede come possa essere un esordio. Perché a colpire non è la trama in sé ma la sua costruzione e la tecnica narrativa dell'autrice che per oltre duecento pagine lascia il lettore in bilico tra l'incertezza e la consapevolezza.
Lydia è morta. Trovata senza vita in fondo al lago davanti a casa. Omicidio? Suicidio? Non ci è dato saperlo, ma se le persone che la conoscevano avessero semplicemente detto quanto visto e sentito nei giorni precedenti la sua scomparsa, forse non ci sarebbe nessun mistero da risolvere. Ma Celeste Ng usa la famiglia Lee per parlare di silenzi. Di come le parole non dette - e qui ci si ricollega al titolo - abbiano degli effetti collaterali devastanti. Il silenzio può essere la causa di tutto. Il silenzio può anche uccidere.
L'autrice, attraverso una prosa densa e meravigliosa, ci parla di emarginazione, solitudine, sogni infranti e paura. Paura di non essere abbastanza. Paura di deludere chi ci ama. Paura di non poter più tornare indietro e di essersene accorti troppo tardi.
A livello di avvenimenti non succede molto, ma c'è la normalità, quella monotona quotidianità che per molti è un conforto e per altri una prigione, che ci viene sviscerata in ogni sua parte. Quello Che Non Ti Ho Mai Detto è un romanzo-autopsia. Pezzo per pezzo, poco alla volta, ogni membro della famiglia Lee finirà sotto il bisturi di Celeste Ng e sfogliata l'ultima pagina non ci saranno più segreti per nessuno. Forse...

Un libro davvero bello, fortemente empatico, che vi farà incazzare tantissimo, ma che poi amerete moltissimo. 
Non c'è un solo tipo di lettore a cui non lo consiglierei, ma il mio invito va soprattutto a tutte quelle persone che si portano addosso la vita come se fosse un vecchio abito cucito male. Capirete quanto sia importante rimediare a quegli strappi e pulirne le macchie. Capirete che non siete soli anche quando non vedete nessuno intorno a voi. E capirete che solo la parola può renderci davvero liberi.

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